PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA ITALIANA

Il 1848 L'INIZIO DELLE OSTILITA' LA SCONFITTA PIEMONTESE

IL 1848

Schieramenti
Regno di Sardegna Impero austriaco
Repubblica di San Marco
Volontari
Governo provvisorio di Milano
Stato Pontificio
Regno delle Due Sicilie
Generali
Carlo Alberto di Savoia Josef Radetzky
Eusebio Bava Laval Nugent

    Il 1848 conosciuto anche come, Primavera dei Popoli, fu un susseguirsi di moti rivoluzionari volti a sconvolgere i governi assolutisti con richieste di riforme piu' liberali. Queste incendiarono l'Europa nel biennio '48-'49. Fu un anno pazzesco per i contemporanei, tant'e' che tempo fa si era soliti dire, quando c'era un trambusto imoprovviso, "e' successo un '48!", oppure "fare un '48!, perche' non era mai accaduto qualcosa di simile fino ad allora e aveva lasciato, quindi, un'impronta indelebile nella mente degli europei.

    La rivoluzione infiammo' gli animi di tutti, eccetto quelli degli inglesi e dei russi:

    1. I primi vivevano un periodo di stabilita' politica ed economica, ovvero l'eta' Vittoriana, dovuta a diverse riforme elettorali.
    2. I secondi, invece, non avevano una vera e propria "classe borghese", di conseguenza non c'era motivo per cui i proletari dovessero ribellarsi. Nononstante cio', la Russia non pote' godere dell'innovazione tecnlogica portata dal 1848.
    3. L'Italia anche fu sconvolta da questi moti e, rispetto agli altri Paesi, si trovava nel pieno di questa agitazione: in Sicilia, nel gennaio del 1848, ci furono le prime scintille della grande rivoluzione. Ferdinando II, allora re di Napoli, concesse per la prima volta la Costituzione , si trattava allora di una grande conquista per la gente; si sta pur sempre parlando di governi asolutisti e quindi di monarchi assoluti che mai avrebbero pensato a una simile concessione, dal momento che avrebbe limitato il loro potere assoluto.

      Febbraio 1848. La rivoluzione scoppia in un Paese esperto in insurrezioni: la Francia. Il re Luigi Filippo non prova nemmeno a soffocare con le armi le proteste e concede la Costituzione, ma i Francesi non si accontentano: buttano giu' la monarchia e formano la Seconda Repubblica Francese. Dopo questo avvenimento, Carlo Alberto di Savoia capisce che e' bene concedere la Costituzione, li' e' il futuro. Carlo Alberto la concede ma cambia il nome in "Statuto", lo Statuto Albertino per l'appunto, che rimarra' in vigore per circa un secolo.

      Marzo 1848. Accade l'impensabile: la rivoluzione scoppia nel cuore dell'Impero Austriaco, a Vienna. Gli studenti protestano perche' il principe austriaco von Metternich venga dimesso dal suo ruolo di Cancelliere, perche' sia creato un governo piu' liberale e perche' sia concessa una Costituzione. L'imperatore Ferdinando I d'Austria cede, caccia Metternich e concede una Costituzione, inoltre concede la costituzione di un Parlamento che rappresenti tutti i popoli dell'Impero. Immediatamente dopo cio', la rivoluzione scoppia in tutte le altre province dell'Impero: in Ungheria, che voleva rendersi indipendente dall'Austria; a Venezia, dove venne proclamata l'antica Repubblica di San Marco; a Milano.

      Milano non aveva particolari richieste da fare all'Impero, poiche' non aveva una tradizione particolare, ne' tantomeno poteva rivendicare un passato illustre, tuttavia chiese di essere autonoma nel Lombardo-Veneto e che venissero ritirati i reggimenti austriaci dal Lombardo-Veneto e, ovviamente, dalla citta'. L'allora governatore, il feldmaresciallo Josef Radetzky rifiuto' le proposte dei milanesi e i moti rivoluzionari dilagarono a Milano.

      Nei primi giorni del gennaio 1848, per protestare contro l'amministrazione austriaca, i milanesi decisero di non fumare più, volendo in tal modo colpire le entrate erariali provenienti dalla tassa sul tabacco. Per tutta risposta il comando austriaco ordinò ai soldati di andare per strada fumando ostentatamente sigari, aggredendo i passanti e forzandoli a fumare. I soldati furono anche provvisti di abbondanti razioni di acquavite e negli alterchi con i cittadini non esitarono ad usare le daghe. Al termine di tre giorni di reazione austriaca allo sciopero, si contarono 6 morti e oltre 80 feriti fra i milanesi. Il militare austriaco Karl Schönhals, nelle sue memorie, riferisce che le prime violenze, che fecero degenerare il clima di tensione dovuto alle minacce che si rivolgevano a chiunque osasse fumare o giocare al lotto, vennero avviate il 3 gennaio dai membri del club gravitante intorno alla Pasticceria Cova. Questi passarono dall'insultare fino all'assalire con le pietre i militari che andavano in giro a fumare i sigari, in particolare i granatieri italiani che ne fumavano allegramente due alla volta. A scontri ultimati, Josef Radetzky ricevette da Gabrio Casati un resoconto in cui si tentava di far passare i cittadini come pacifici e i soldati come provocatori, pretendendo che questi ultimi smettessero di fumare per strada, ma il Feldmaresciallo respinse quella pretesa.

      Nell'immaginario collettivo, quando si parla delle 5 giornate di Milano, si pensa al fuoco proveniente dalle barricate erette per strada, a uomini di ceti sociali diversi che combattono insieme ecc...In realta' le 5 giornate sono brutalita' e disumanita':

      Milano contava circa 160 mila abitanti e la guarnigione austriaca contava circa 14 mila soldati armati fino ai denti, al termine dei combattimenti si contavano circa un centinaio di morti dalla parte milanese e 4 mila morti tra gli Austriaci.

      L'odio provato in quei giorni da ambo le parti e' inimmaginabile. I Milanesi odiavano gli Austriaci, che erano visti da tutti come feroci conquistatori e per questo disprezzati, e guardavano con profondo aborrimento Radetzky, che incarnava l'ideale dell'uomo germanico che vuole assogettare tutti. Insieme a Radetzky, veniva visto con disprezzo anche l'esercito bastardo dell'Impero, formato da tante genti di cultura e lingua diversa.

      Da entrambe le parti la propaganda fu feroce:

      1. Si diceva che gli austriaci infilzassero sulle baionette i bambini; sventrassero le donne incinta; bruciassero viva la gente; mozzassero le mani alle donne per rubarne i gioielli, rinvenuti negli zaini dei soldati.
      2. I generali austriaci, d'altro canto, avvertivano i soldati di non farsi catturare, dal momento che le donne milanesi avrebbero cavato loro gli occhi.

      Tutto cio' ovviamente era inventato di sana pianta e serviva ad alimentare l'odio verso l'altra parte. Simili atrocità non succedevano nelle guerre europee dell'800 e, se accadevano, rimanevano episodiche, limitate e circoscritte. La gente ci crede, azzera ogni filtro critico, si beve ogni cosa (al contrario di ciò che accadrà nella Seconda Guerra Mondiale, quando le atrocità saranno così irreali che la stessa propaganda stenterà a crederle, e non le ripeterà, perché nessuno potrebbe immaginarle anche solo vagamente verosimili). Dopo le 5 giornate Radetzky abbandona Milano "con immenso dispiacere":"Questa è la più terribile decisione della mia vita" - scrive a Vienna - "ma non posso tenere più a lungo Milano. Tutto il Paese è in rivolta"..


      L'INIZIO DELLE OSTILITA'

      Il 22 marzo Radetzky abbandona Milano, il giorno dopo Carlo Alberto dichiara guerra. L'intervento di Carlo Alberto era stato fortemente voluto dal Consiglio di guerra del Governo provvisorio, nonostante molti esponenti democratici, tra cui il Presidente del Governo Provvisorio Carlo Cattaneo, si rifiutarono di richiedere il suo intervento, poiche' si trattava di una "guerra di popolo". "Se Milano invoca il soccorso del Piemonte, la Lombardia sarò svenduta alla Monarchia sabauda!"- scrive Cattaneo. In tempi normali dichiarare guerra all'Austria sarebbe stata una follia, dal momento che aveva 7 volte il numero di abitanti del Regno di Sardegna, ma in quel momento era in preda alla rivoluzione, inoltre il re di Savoia poteva contare sull'aiuto degli altri Stati italiani, che sentivano molto questa guerra. L'esercito piemontese, credendoci anche se a fatica, va in guerra sotto il vessillo del Tricolore, cosa inimmaginabile fino a poco tempo fa, dato che come simbolo era stato vietato; Carlo Alberto lo accetta come bandiera ufficiale con grande stupore degli ufficiali e dei generali, che mai si sarebbero immaginati tutto cio': l'esercito piemontese è l'esercito di una Monarchia assoluta, di una Monarchia della restaurazione, che condannava i rivoluzionari.

      I soldati, all'epoca, erano tutti coscritti, cioe' facevano il soldato non per mestiere ma per forza, di volontari se ne trovavano ben pochi. A quei tempi c'era la leva obbligatoria, per cui la maggior parte erano costretti a fare il militare. La leva, pero', funzionava in maniera diversa da come l'abbiamo conosciuta nel '900: ai governi bastava che una piccola percentuale di ragazzi venisse arruolata, non tutti perche' non avevano abbastanza soldi per mantenerli.

      Come decidere chi dovesse fare il soldato? Si tirava a sorte. I ragazzi andavano dal sindaco della citta', sorteggiavano un numero e chi pescava il numero piu' basso veniva arruolato.

      A questo punto vi erano due vie:

      Quando scoppia la guerra, l'Austria prende i soldati dalle proprie caserme, Carlo Alberto li richiama. Carlo Cattaneo, Presidente del Governo provvisorio a Milano, scrive: "Dal Piemonte fu spinta sul Mincio, a marce forzate, una gente staccata 'pena dagli aratri e dai telai, male ammaestrata nelle armi, arrugginita per i lunghi congedi."

      Perche' questi riservisti combattono bene e' necessario che ci siano tanti ufficiali in grado di inquadrarli; il problema e' che ce n'erano veramente pochi. I generali di ambo le parti sono:

      1. Carlo Alberto di Savoia, allora 50enne e che non aveva mai guidato una guerra prima d'allora, nonostante egli avesse fatto l'Accademia militare a Parigi, al tempo in cui il Piemonte faceva ancora parte della Francia, e avesse servito nell'esercito napoleonico con il grado di tenente;
      2. Dall'altra parte c'e' invece un uomo che la guerra l'ha fatta, ovvero il feldmaresciallo Josef Radetzky, ormai 82 e veterano di numerose battaglie, avendo guidato anche un'intera Divisione ad Austerlitz durante le guerre napoleoniche.

      I Piemontesi, dunque, si preparano a invadere il Lombardo-Veneto dietro Radetzky, il quale fugge in direzione del Quadrilatero, un sistema di quattro fortezze,Legnago, Peschiera, Mantova e Verona, messo in piedi dagli Austriaci e che rappresentava una zona strategica, poiche' a Nord era protetta dal lago di Garda, a Sud era protetta dal Po e a Est si trovava la valle d'Adige che metteva in comunicazione.

      Pur dichiarando guerra, Carlo Alberto esita prima di mettersi in marcia. Il 25 marzo le avanguardie piemontesi attraversano il Ticino, ma tutto l'esercito impieghera' 5 giorni per attraversarlo; in questo lasso di tempo Radetzky ha gia' attraversato l'Oglio ed ha ricevuto buone notizie: non tutte le citta' lombarde sono insorte, Verona e Mantova sono ancora fedeli agli Austriaci; decide quindi di dirigersi a Verona.

      Carlo Alberto e' fermo a Cremona, non sapendo che fare: star fermi non si puo', dal momento che l'opinione pubblica e i giornali martellano insistentemente; puo' contare, pero', sulle truppe inviate dagli altri Stati italiani: il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio. Decide quindi di proseguire ma molto lentamente. Solo ad aprile attraversano l'Oglio, ma la situazione addirittura peggiora: l'avanzata rallenta, poiche' ci si addentra in terra straniera e nessuno ne conosce il territorio.

      Si scopre che lo Stato maggiore a Torino non ha preparato mappe del Veneto da dare ai generali. L'esercito, quindi, e' costretto a brancolare nel buio. Per conoscere il territorio, a questo punto, si e' costretti a utilizzare la cavalleria leggera, che perlustra il circondario, ma i Piemontesi hanno solo reggimenti di corazzieri, che rappresentava la cavalleria pesante.

      Passato l'Oglio, iniziano a verificarsi frequenti casi di panico: sentinelle che si sparano addosso, contadini scambiati per Austriaci ecc...Carlo Alberto e' costretto a procedere piano.

      Arrivati al Mincio le cose diventano piu' problematiche, poiche' sono presenti pochi ponti e, anche se scarsamente, difesi dagli Austriaci. L'esercito piemontese prende tre ponti ma non li attraversa subito, attende perche' non si sa cosa li aspetti.

      Alla fine si decide di assaltare Peschiera, la piu' piccola delle fortezze del Quadrilatero. Assediare fortezze, pero', era il modo di fare la guerra nel '700, Napoleone aveva rivoluzionato questo metodo, facendo si' che l'esercito andasse a scovare il nemico, le fortezze sarebbero poi cadute di conseguenza; Carlo Alberto opta comunque per l'assedio e fa venire dal Piemonte l'artiglieria pesante.

      Nel frattempo Radetzky viene rafforzato dalle truppe del generale Nugent, un irlandese al servizio degli Austriaci, il quale dalla Gorizia recluta truppe dalla Croazia, arruola volontari e si muove verso Ovest.

      Nel mentre che si aspetta l'artiglieria, Carlo Alberto si dirige a Verona. Bisogna, pero', attraversare l'Adige, fortunatamente c'e' un ponte, ma e' difeso dagli Austriaci; i Piemontesi sono decisi a prenderlo con la forza: avviene la battaglia di Pastrengo, la prima vera battaglia della prima guerra d'indipendenza, vinta dai Piemontesi.

      Arrivano, dopo tanto tempo, i cannoni: Peschiera e' messa sotto assedio. Giungono anche le truppe del Papa al comando del generale Durando, un rivoluzionario piemontese che ha combattuto in diverse guerre civili in Europa. Durando arriva al Po con un piccolo esercito:

      Appena Durando arriva al Po con le truppe pontificie, il Papa Pio IX cambia idea. I cardinali infatti gli hanno appena spiegato che il Papa non dovrebbe partecipare a una guerra fratricida, per di piu' contro una potenza cattolicaquale, appunto, l'Austria; ordina pertanto il ritiro delle truppe dal fronte. Succede, pero', che il generale Durando, comandante delle truppe del Papa, decide di disobbedire al Papa: attraversa il Po e si inoltra nel Veneto.

      Effettivamente potrebbe sbarrare la strada a Nugent, il quale sta scendendo da Udine; passa Feltre, Belluno e arriva a Treviso, Durando con l'esercito sale. Nugent riesce, grazie alla sua esperienza di generale, a superarlo.

      Radetzky a Verona riceve i rinforzi, i Piemontesi stanno ancora assediando Peschiera. Appena ricevute le truppe, Radetzky attacca nelle prossimita' di Mantova. Davanti la citta' si trovano una divisione toscana fiancheggiata da due battaglioni napoletani, schierati tra due paesini chiamati Curtatone e Montanara. Li' ebbe luogo l'eroica resistenza del battaglione toscano che riusci' a fermare Radetzky, il quale, altrimenti, avrebbe aggirato l'esercito piemontese da sud, prendendolo alle spalle. Nonostante cio', i toscani sono sbaragliati, Radetzky puo' prendere sul fianco i Piemontesi.

      (torna sopra per vedere la cartina delle battaglie)

      Carlo Alberto raduna quanti soldati puo' radunare e va incontro Radetzky a combattere quella che sara' poi la battaglia di Goito.

      I due eserciti schierati prima della battaglia, il crocicchio a Ovest di Goito funge da punto di riferimento: a Sud c'e' Mantova, a Nord vi e' Guidizzolo, a Est c'e', appunto, Goito e a Ovest vi e' la localita' di Gazzoldo

      Dopo un pomeriggio intero di combattimenti, Radetzky rinuncia, non ce l'ha fatta a sfondare il fronte e torna, quindi, indietro. In Italia questa vittoria viene osannata dalla stampa; Carlo Cattaneo, che ormai ha abbandonato il Governo provvisorio, legge i giornali e ne e' disgustato; scrive:"A Milano il governo, vanissimo e ignorante, annuncio' che il nemico era fuggito dirottamente, lasciando 5mila morti", in realta' le perdite austriache ammontavano a 68 morti, ma intanto si trattava di una vittoria.

      Il giorno dopo Peschiera si arrende, il comandante della fortezza non e' riuscito a tenerla.

      Mentre la battaglia infuriava, un ufficiale d’ordinanza del duca di Genova recò al Re l’annuncio della resa della piazzaforte austriaca di Peschiera. La notizia fu comunicata al generale Bava che a sua volta informò del successo di Goito. La voce della doppia vittoria si diffuse rapidamente e le truppe vi risposero con un lungo grido rivolto a Carlo Alberto di “Viva il Re d’Italia!”

      LA SCONFITTA PIEMONTESE

      Dopo la vittoria, Carlo Alberto decide di attendere le prossime mosse di Radetzky, il quale, ormai sconfitto, ripiega per occuparsi delle citta' venete insorte e dar battaglia a Durando con le truppe pontificie.

      Il generale del Papa spedisce un messaggio ai Piemontesi, garantendo di poter resistere all'assalto austriaco per otto giorni e invitando Carlo Alberto a raggiungerli cosi' da prendere Radetzky alle spalle. Succede, pero', che gli Austriaci, il primo giorno, sbaragliano le truppe pontificie e Durando si arrende. Si arriva a una convenzione: Durando si deve ritirare al di la' del Po e deve impegnarsi a non partecipare al conflitto per tre mesi. Tutte le citta' venete, tranne Venezia, sono riconquistate dagli Austriaci.

      (torna sopra per vedere la cartina delle battaglie)

      Segue un mese in cui, sia Austriaci sia Piemontesi, non fanno assolutamente niente.

      A Milano viene portato alla luce un nuovo problema: non esiste un esercito lombardo, combattono solo i Piemontesi. Vengono, quindi, arruolati dei volontari, ma sono troppo pochi. Il Governo provvisorio richiama allora le truppe in congedo, ovvero ex soldati austriaci. Non ci sono abbastanza divise, i soldati sono costretti ad andare al fronte senza una divisa. Arrivati al fronte, vengono a sapere che gli Austriaci fucilano tutti quelli che non hanno una divisa e vengono trovati con un fucile in mano. Le truppe milanesi dichiarano di non voler combattere finche' non gli venga data una divisa. A Milano si cerca nei magazzini, pieni, pero', di divise austriache: le truppe quindi vengono vestite con divise austriache. Per fortuna non ce ne sono abbastanza, quindi i soldati vanno al fronte vestiti come vogliono loro. Cattaneo, a proposito di cio', scrive:"Vestiti con giubbotti di tela, in piu' con berretto, alcuni con cappelli di feltro, di paglia, di ogni foggia; reggimenti informi che parevano agli stipendi il piu' pitocco popolo del globo".

      Il 4 luglio Carlo Alberto ha un gran colpo di fortuna, viene a proporsi al suo servizio Giuseppe Garibaldi,il quale e' venuto dritto dall'America con diversi uomini al suo comando per prendere parte alla rivoluzione italiana. Carlo Alberto scrive a proposito di cio':"Ho concesso oggi udienza al celebre generale Garibaldi [...] i precedenti di questi signori [si riferisce ai compagni di Garibaldi] e specialmente del sedicente generale, il suo famoso proclama repubblicano ci rendono assolutamente impossibile accettarli nell'esercito, si potrebbe forse dar loro un sussidio, purche' si tolgano dai piedi".

      Radetzky aspetta di ricevere rinforzi e si muove. Scopre che i Piemontesi sono deboli a Nord, dunque li attacca li' nei pressi dell'Adige e li sbaraglia, correndo un enorme rischio, poiche' ha il fianco esposto e Carlo Alberto li attacca proprio li', salendo da Sud, tra il Mincio e l'Adige, in una localita', famosa, chiamata Custoza

      Carlo Alberto e i soldati attaccano con poca convinzione. Combattono per un paio di giorni, poi capiscono di non potercela fare e si arrendono; ha vinto Radetzky, ha vinto e non si ferma qui: passa il Mincio, diretto verso Occidente e taglia le vie di comunicazione tra la madrepatria, il Piemonte, e l'esercito di Carlo Alberto, che rimane isolato.

      Il re di Savoia e' costretto a chiedere l'armistizio, e' il 27 luglio 1848. Radetzky, stupito della facilita' con cui i Piemontesi si siano arresi, non chiede quasi niente, solo che i Piemontesi si ritirino dietro l'Adda, mantenendo dunque Milano. Carlo Alberto rifiuta queste condizioni di resa cosi' vergognose e la guerra prosegue. L'esercito passa il Mincio, l'Oglio e l'Adda, lasciando dietro di se' citta' terrorizzate, che prima erano insorte e ora temono rappresaglie austriache. A questo punto decide di marciare su Milano per difenderla dagli Austriaci. Si trincerano nella periferia di Milano la sera del 3 agosto ma non e' abbastanza, Radetzky li sbaraglia e Carlo Alberto si arrende.

      Chiede di nuovo l'armistizio, ma stavolta deve cedere Milano. I Piemontesi devono tornare in Piemonte e Milano torna in mano austriaca. I popolani milanesi che arrivano dalle barricate in periferia alla piazza in centro per annunciare che il re aveva ceduto agli Austriaci Milano vengono linciati dalla folla, che non vuole credere a questa notizia. Il 9 agosto viene firmato l'armistizio di Salasco. La notizia della resa italiana e della vittoria austriaca arriva a Vienna e Johann Strauss, per festeggiare la riconquista di Milano, compone una famosa marcia che ogni anno viene eseguita al concerto di Capodanno a Vienna, ovvero la Marcia di Radetzky.